Armonizzazione e formazione per competenze: la via svizzera della riforma

Intervista a Louise Lafortune

Louise Lafortune è professore associato di scienze dell’educazione presso l’Université du Québec à Trois-Rivières. Dal 2002 al 2008 ha seguito in Québec una riforma dei piani di studio per certi versi simile a quella attualmente in atto in Svizzera. È consulente del DECS per l’implementazione del nuovo Piano di studio per la scuola dell’obbligo e ha tenuto due giornate di formazione interna al Dipartimento formazione e apprendimento in ottobre.

Quali sono le caratteristiche distintive del concordato HarmoS rispetto a riforme analoghe, come, ad esempio, quella messa in atto in Québec?

Ciò che mi ha da sempre colpito del modello educativo elvetico è la coesistenza di ben ventisei sistemi scolastici all’interno di un medesimo Stato. Personalmente apprezzo molto il fatto che, già nella sua denominazione, la riforma si propone un’armonizzazione piuttosto che un’omologazione delle differenze. Avvenendo più tardivamente, essa può, inoltre, avvalersi dell’evoluzione teorica del concetto di apprendimento per competenze, che è già stata messa alla prova in altri sistemi educativi.

In grandi linee, come è evoluto questo paradigma?

Una delle principali sfide cui siamo stati confrontati in Québec è stata far capire che favorire lo sviluppo di competenze, cioè la capacità di una persona di apprendere in contesti diversi, non si contrappone alla trasmissione della conoscenza. Questo pregiudizio è originato dall’accezione che si è diffusa negli anni ’80, soprattutto nell’ambito della formazione aziendale, secondo cui l’apprendimento per competenze è da intendersi come un processo prettamente cumulativo volto ad accrescere le potenzialità strumentali di un individuo.

In quale modo questa esperienza può essere integrata nel concordato HarmoS? 

Analizzando le linee attuative della riforma svizzera non si può non constatare che il concetto di competenza ha assunto una molteplicità di sfaccettature. Questo ha permesso di superare la sua sola dimensione cognitiva, integrandovi, ad esempio, anche le dimensioni sociali e affettive. Noto, inoltre, che già nella formazione dei docenti emerge la consapevolezza che la trasmissione del sapere disciplinare è un processo complesso con importanti implicazioni relazionali e comunicative.

Quali sono i rischi in cui è possibile incorrere attuando questo tipo di riforme?

A mio avviso il rischio più grande è quello di “annacquarle”, di scendere a eccessivi compromessi al fine di depotenziare le critiche. Così facendo però si rischia di perdere in coerenza ed efficacia. In Québec purtroppo è parzialmente accaduto.

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